Il Monte Amiata

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Il Monte Amiata

Monte Amiata

compreso in parte nella provincia di Grosseto e in parte in quella di Siena,Il Monte Amiata è una montagna dell'Antiappennino toscano , il cui territorio è in una vasta area di pertinenza dei comuni di Abbadia San Salvatore, Santa Fiora, Arcidosso, Castel del Piano, Seggiano, Piancastagnaio e Castellazzara.È un antico vulcano, ormai spento, con presenze di rocce e di laghetti di origine vulcanica. L'Amiata è ricchissimo di acque, tutte captate e gestite dall'Acquedotto del Fiora che trasporta il prezioso liquido nell'intera Toscana meridionale e nella parte settentrionale del Lazio; vi si trovano, inoltre, le sorgenti dei fiumi Fiora e Albegna (quest'ultima presso il Monte Buceto che costituisce l'estrema propaggine sud-occidentale del massiccio montuoso).Il monte Amiata è la "montagna" collocata nella Toscana meridionale, che svetta nelle vallate circostanti, dai nomi suggestivi e accattivanti quali la Val d'Orcia, la Maremma, la vallata del lago di Bolsena, il Chianti.Il toponimo Monte Amiata sta anche a individuare un vasto territorio, con al centro il gruppo montuoso dell'Amiata (non un cono sia pure imponente, ma un ameno e verde sistema orografico digradante verso sud), circondato da centri abitati di grande interesse storico e artistico, da sempre frequentati da turisti che rimangono gratificati dai paesaggi e dai reperti d'arte, in una zona dove per grandi cicli secolari hanno trovato allocazione e potere gli Etruschi, il medioevo del Papato e dei Carolingi, la Repubblica di Siena e in ultimo il Granducato di Toscana.


L´Amiata è stata generata da potenti eruzioni vulcaniche oltre 180.000 anni fa. Le prime tracce di vita sul territorio risalgono al paleolitico, come attestano i dipinti rupestri della Grotta dell´Arciere, vicino ad Abbadia San Salvatore. Fu poi frequentato dagli Etruschi, per i quali l´Amiata era una montagna sacra, e dai Romani, che sfruttarono il territorio soprattutto per gli abeti bianchi, che oggi troviamo presso il biotopo naturale del Pigelleto, con cui costruivano le navi, e il cinabro che usavano per dipingere o preparare dei cosmetici. Crearono anche numerosi insediamenti presso i centri termali.

Numerosi i castelli, l´Aldobrandesco di Arcidosso, la Rocca di Piancastagnaio, la Rocca di Ghino di Tacco a Radicofani, Rocca a Tentennano a Castiglion D´Orcia, Castello di Potentino a Seggiano, e le chiese, l´Abbazia di San Salvatore, la Pieve delle Sante Flora e Lucilla, a Santa Fiora, dove si trova un´imponente collezione di Ceramiche Robiane.
Un luogo assolutamente particolare è il Monte Labbro, dove si consumò l´esperienza di David Lazzaretti, il "profeta" dell´Amiata. David, nella seconda metà dell´800, fondò una comunità religiosa, che si proponeva di applicare gli insegnamenti del vangelo. Raggiunse oltre 3000 seguaci. Sul Monte Labbro si possono ammirare i resti delle costruzioni davidiane.
Nella stessa zona è sorto, qualche anno fa, il Centro tibetano di Merigar, uno dei più importanti d´Europa la cui guida spirituale è il maestro Namkhai Norbu.

Ad un´altezza tra i 650 e gli 850 mt. troviamo la corona degli incantevoli borghi medievali arroccati sulle pendici del monte.

Roccalbegna

Il castello di Roccalbegna è citato, nel 1210, nel privilegio dell'imperatore Ottone IV in favore dell'abbazia del Monte Amiata. Sottoposto all'alto dominio degli Aldobrandeschi, verso la fine del Duecento venne assegnato al ramo dei conti di Santa Fiora. Tuttavia già dai primi decenni del XIII secolo aveva diretta signoria sul castello una famiglia locale, quella di Ranieri di Ugolino di Roccalbegna, i cui discendenti, tra il 1293 e il 1296, furono costretti a cedere i loro diritti al comune di Siena. Durante il dominio senese Roccalbegna subì assalti e incursioni da parte degli Aldobrandeschi, come nel 1331, quando le masnade del conte Andrea di Santa Fiora saccheggiarono l'abitato. In declino a partire dal XIV secolo, dopo la caduta della repubblica di Siena fu assegnata in feudo da Cosimo I dei Medici al cardinale Antonio Sforza e ai discendenti della famiglia Sforza- Cesarini di Santa Fiora. Tornata nel 1624 alla corona granducale, Roccalbegna fu di nuovo infeudata, nel 1646, alla famiglia Bichi-Ruspoli, alla quale rimase fino al 1751. Tra le frazioni va ricordato il castello di Triana, in origine dominio degli Aldobrandeschi, ceduto nel 1388 ai Piccolomini. Sul territorio comunale operarono durante la Resistenza formazioni partigiane e sei vittime provocò un eccidio compiuto dai tedeschi in ritirata nel maggio 1944.

Il Bosco di Rocconi

La Riserva si estende nell'Alta valle dell'Albegna. Occupa una superficie complessiva di 371 ettari, con un'area contigua di complessivi 253 ettari. Insiste per buona parte sull'Oasi di proprietà del Wwf (130 ettari). Il territorio è formato da colline con un'altitudine che varia da circa 500 metri s.l.m. a nord, ai 200 del confine sul Fosso Paradisone e presenta una geomorfologia estremamente varia. Sono presenti pareti rocciose di calcare massiccio alla cui base scorrono l'Albegna e il Rigo. Non mancano, inoltre, grotte e cavità, di cui la più importante è il Crepaccio di Rocconi. La storia della Riserva inizia nel 1991, in seguito ad escursioni di un piccolo gruppo di ornitologi toscani, soci del Wwf. Le gole dell'Albegna, rivelarono subito una straordinaria ricchezza di fauna e flora. Nella parte settentrionale prevalgono zone boscate di due tipi: bosco misto, soprattutto nel territorio compreso tra l'Albegna e il Rigo, in cui abbondano roverella e cerro, ma sono presenti anche frassini, carpini, aceri, peri, meli, ciliegi e sorbi; bosco a prevalenza di leccio, che si estende nel versante ad ovest; flora arbustiva e arborea ripariale, lungo il greto del fiume Albegna. Nella parte meridionale della Riserva prevalgono, invece, oliveti, prati, pascoli, incolti e piccoli seminativi, intercalati da folte siepi di biancospino, rovo, olmo, prugnolo e corniolo, che svolgono un ruolo fondamentale per la fauna selvatica.

Di particolare interesse anche le associazioni vegetazionali rupicole e la straordinaria varietà di orchidee spontanee (25 le specie censite).

Per la fauna la Riserva assume un'importanza assoluta. Esclusiva è la presenza di rapaci diurni come il biancone e il lanario, specie prioritaria a livello CEE, in decremento in Europa. Importante è anche l'esistenza di esemplari della tartaruga di Hermann e di alcuni rettili come il cervone, il biacco, la biscia d'acqua, la vipera comune e il colubro di Riccioli.

Tra i mammiferi, è di rilievo la presenza del gatto selvatico, della martora, del tasso e sporadicamente del lupo e della lontra. L'importanza faunistica è però soprattutto ornitologica. Sono infatti presenti moltissime specie inserite nelle "liste rosse" europee e tutelate dalla Convenzione di Berna: l'albanella minore, l'assiolo, l'averla capirossa, il falco pecchiaiolo, il gufo comune, il martin pescatore, il picchio verde e il merlo acquaiolo.

 

Superficie: 371 ha. Perimetro: 17653 m. Superficie aree contigue: 253 ha. Perimetro aree contigue: 12222 m. Superficie comprese le aree contigue: 624

Riserva Naturale Pescinello

La riserva si estende su una superficie di 150 ettari; si trova nell'Alta Valle dell'Albegna, sulla riva sinistra del fiume, a monte dell'abitato di Roccalbegna. Si estende su una superficie complessiva di 149 ettari con un'area contigua di altri 92. Il territorio è collinare, con rilievi come Poggio Crivello e Poggio Cerrino che hanno altezze medie superiori agli 800 metri sul livello del mare. Pescinello presenta la stessa formazione geologica della Riserva di Rocconi con calcari vari: rosso ammonitico, a calacareniti, ad argilliti e a diaspri. La flora di questa area è straordinaria, tanto che all'interno della riserva sopravvivono vecchi alberi di dimensioni straordinarie. La ricchissima avifauna include il biancone, il lodolaio, lo sparviero e il lanario. Negli stagni e nelle sorgenti oltre ai comuni tritoni, crestano e italico, si possono trovare due rarità: l'ululone dal ventre giallo e il gambero di fiume.